2.3 La musica pop-rock degli Aborigeni australiani

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NUOVE TECNOLOGIE, MUSICA OCCIDENTALE NELL’ESPRESSIONE MUSICALE ABORIGENA
2.3 La musica pop-rock degli Aborigeni australiani

L’acquisizione di nuove modalità di espressioni musicali, prima con il genere country e poi con quello pop-rock, non si accompagna ad un totale riorientamento delle modalità espressive ed ad uno svuotamento dei contenuti tradizionali.
La musica di matrice indigena è stata fino a pochissimo tempo fa (e in alcuni ambienti lo è tutt’ora) sempre considerata come divisa in due ben separati contesti, da una parte abbiamo la musica tradizionale con canzoni cerimoniali, dall’altra consideriamo la musica popolare senza alcun riferimento alla tradizione ma come se fosse solo orientata verso temi occidentali e, recentemente, verso la protesta.
Eppure si possono notare molte più continuità che distacchi nel parallelo tra queste due espressioni musicali.
Diamo per scontato che l’acquisizione dell’espressione rock non poteva che prendere piede in Australia, come in tutto il mondo, dato lo spirito stesso del medium quale è. La rappresentazione della protesta e dell’identificazione di una globalità di situazioni locali (che solo apparentemente è un paradosso) trova nelle dinamiche espressive della musica rock tutta la sua massima espressione.
All’indomani del tour australiano di Bob Marley (anni settanta), la carica di protesta che è motore delle avanguardie di tutte le arti, accende la scintilla del rock aborigeno, si moltiplicano i gruppi, si canta in inglese e, fatto del tutto nuovo, anche nella propria lingua nativa. La nuova espressività diventa bandiera delle proteste sociali.
Ma facciamo un passo indietro.
Le popolazioni indigene australiane si appropriarono dei modelli espressivi della società colonizzante fin dai primi decenni del dominio europeo. Ma perché?
Ovviamente ne erano circondati, le tematiche e le sonorità che la musica che i coloni pastorali portarono con loro riecheggiavano in tutto il territorio. Le espressioni musicali della chiesa erano imposte con il nuovo processo di cristianizzazione, il contatto con la musica country nelle aziende di allevamento di bestiame in cui anche gli aborigeni lavoravano era all’ordine del giorno.
E proprio delle tematiche espressive della musica country gli aborigeni si appropriarono in prima istanza.
Essi, anzi, scoprirono di avere molte cose in comune con questa nuova espressività.
Prima di tutto, vivendo in maggioranza lontano dai grandi centri abitati, era l’unica musica che ascoltavano, in secondo luogo i contenuti delle canzoni erano in qualche modo familiari.
La musica country è essenzialmente un racconto, un affresco della vita dell’outback australiano, e gli aborigeni in quell’outback c’erano cresciuti e lo avevano visto cambiare. Le canzoni raccontano la nostalgia per il paese lontano e l’amore per la propria terra, il senso di spaesamento (e mai termine può essere più appropriato) delle popolazioni indigene trovava assoluta corrispondenza in questa tematica.
Il senso di tristezza e nostalgia che trapela dai testi e dalla melodia ben si adattava alla situazione in cui le popolazioni indigene si trovavano.
Il sentimento di perdita (del paese, delle nuove generazioni) trovava la sua parziale soluzione in un’espressione musicale che ne descriveva i momenti salienti. Come dice Bob Randall, autore di uno dei brani più famosi “Brown Skin Baby” (canzone sulla separazione forzata dei figli nati da coppie miste): “Poiché avevamo perso così tanto, la musica country poteva darci qualcosa che potevamo guadagnare.” (vedi Walker 2000)

Di seguito, negli anni sessanta, in tutto il mondo esplode il fenomeno della musica rock, gli aborigeni se ne impossessano subito e la nuova espressione diventa bandiera per la protesta, il manifesto della cercata integrazione sociale e civile, la voce dei decenni di sottomissione forzata.
Per riaffermare (o affermare al cospetto dello stato colonialista) i gruppi rock cominciano subito a cantare in lingua indigena.
Come nel caso dei Warlpiri descritto da Wild, la musica rock continua ad essere uno strumento per la riorganizzazione sociale e culturale in seguito alla dislocazione colonialista, anch’essa fornisce alla gente aborigena una rete di identità e relazione anche associata con l’identità dello Stato-nazione Australia.
E se vogliamo questo diviene un paradosso perché la protesta al sistema occidentale è fatta seguendo un canone di espressione proprio occidentale, ma secondo, e qui non c’è alternativa, una globalizzazione (ante litteram) dei metodi espressivi della controcultura giovanile, ossia la musica rock.
E se l’appropriazione ed adattamento è uno dei fattori compresi nel sistema tradizionale, la musica pop-rock diventa espressione sia dei valori tradizionali che della situazione sociale moderna vissuta dalle popolazioni indigene.
Pensiamo alle rock band come ponte attraverso le due sponde, perché se sono certamente nate dallo spirito individuale (e su basi storiche), esse tendono anche ad essere collettive (e mitologiche, sotto alcuni aspetti) poiché viaggiano di comunità in comunità, attraverso il paese, come esseri ancestrali, raccontando storie circa il passato e il modo presente di vita. Il percorso non è casuale, ma segue in molti casi le linee totemiche dei progenitori ancestrali e, ancora di più, sfrutta le connessioni parentelari e le relazioni tra clan affini.
In ogni outstation o piccola comunità visitata c’è qualcuno che si conosce, una relazione parentelare. Le rock band ricreano le connessioni totemiche del passato.
Ma veniamo a descrivere alcuni di questi gruppi e le caratteristiche della loro musica.
Nel 1990 la rock band del centro nord Australia Blekbaba Mujik produce con l’etichetta CAAMA (Central Australia Aboriginal Music Association) il suo primo album: “Nitmluk!”
L’album descrive l’amore e l’attaccamento degli autori verso il loro paese e la lotta per il riconoscimento dei diritti sulla terra. Il punto interessante è che le tematiche con cui queste rivendicazione vengono portate avanti, sono riconducibili ad un modo di espressione tradizionale.
Nella canzone infatti vengono descritti e nominati i posti in questione nello stesso modo in cui nelle canzoni totemiche tradizionali vengono descritte le tappe dei viaggi e i luoghi attraversati dai progenitori ancestrali.
La musica dei Blekbala Mujik enfatizza ampiamente il riferimento a posti di importanza culturale e rituale, di musica tradizionale in cui si salda quella moderna.
Altre parole riecheggiano la continuazione con la tradizione: Mandawuy Yunupingu, leader degli Yothu Yindi, complesso storico di pop aborigeno, famoso in tutto il mondo, parla nel discorso di apertura del Garma Festival della Terra di Arnhem, di una pluralità di significati attribuibili all’evento che si sta svolgendo:

Garma è molte cose – incluso un posto – è un forum aperto dove le storie ancestrali di differenti gruppi Yolngu possono essere rinegoziate, celebrate ed eseguite per un pubblico. Ma Garma è più di questo. Implica una filosofia di negoziazione della cultura che è stata usata dagli anziani Yolngu come una metafora per la produzione di conoscenza in diversi ambiti, specialmente tra la cultura indigena e quella della più ampia comunità australiana. È solo attraverso la negoziazione di differenti prospettive che una vera ricchezza può essere raggiunta. (dal sito web del Garma Festival, 2001)

Il festival, seguito da un numero nutrito di pubblico sia indigeno che euroaustraliano (e in buona parte anche straniero), vede la presenza di esecuzioni musicali tradizionali affiancate da concerti delle rock band indigene più importanti d’Australia.
Tutte sono all’insegna della continuità della tradizione, pure se espressa attraverso media musicali radicalmente differenti.
Proseguendo nella nostra descrizione dobbiamo aggiungere che non sono solo le tematiche, ma anche i processi di creazione della musica pop sono simili, in certi casi, alle modalità tradizionali.
Il genere wangga del Nord-est Australia (canzoni per danze accompagnate dal didjeridu) ha origine ultraterrena, le canzoni sono normalmente ricevute in sogno dai cantanti ad opera di fantasmi o spiriti. Con la canzone il cantante riceve anche il potere e l’autorità dello spirito donatore.
Con un parallelo Bob Randall (in Walker 2000) racconta l’ispirazione che precedette la stesura del suo famoso brano di cui abbiamo parlato sopra:

“Brown Skin Baby venne quando stavo seduto in un aeroplano volando sopra la Terra di Arnhem…fu un’esperienza fantastica, il modo in cui quella canzone arrivò da me. Io dico che lo spirito di mia madre venne e si sedette a fianco a me e disse, ho una canzone per te, e allora io seppi che era lei.”

Se appare evidente un parallelo tra le modalità di composizione dei due generi, anche le procedure che riguardano la performance del genere pop-rock ha stretti legami con l’esecuzione della musica tradizionale. Nel caso del gruppo musicale Yothu Yindi, ad esempio, decisioni sulle modalità di esecuzione vengono prese in concertazione con gli anziani del clan (vedi Knopoff 1992). Ossia, un parere viene espresso su elementi musicali, coreutica ed estetici che possono essere rivelati ad un pubblico ‘non iniziato,’ prima che non-indigeno.

Interessante considerare anche lo status che queste canzoni assumono all’interno della comunità che le genera e ne fruisce. A Wadeye, una remota comunità aborigena 350 km a sud-ovest di Darwin, le quattro band locali si esibiscono in uno scambio performativo rituale sul palco del club locale, questo scambio assume connotati non dissimili a quelli che vengono proposti durante le cerimonie tradizionali.
Le quattro band sono associate con un particolare territorio e con specifici clan e gruppi linguistici. C’è quindi da aspettarsi che le canzoni eseguite da ogni gruppo si riferiscano alla terra di appartenenza dei clan dei musicisti, eppure questo non succede ad ogni esecuzione. Infatti, molto spesso, le band suonano e cantano di altre terre, di altri clan e di altri siti totemici che non sono i propri. Facendo così offrono ai loro corrispettivi esecutori, un ‘dono’ musicale da cui sono ricompensati a loro volta, quando arriva il turno di un’altra band, che suonerà di altre terre. In pratica, si assiste ad uno scambio di canzoni che genera una solidarietà nella comunità allargata. Questo appare necessario in una località come Wadeye, dove, in seguito alla creazione della missione cattolica nel 1935, differenti – e precedentemente antagonisti – gruppi linguistici vennero messi insieme. Lo scambio ‘rituale’ di canzoni, in un contesto diverso da quello rituale ‘tradizionale,’ presenta le stesse funzioni e soddisfa gli stessi bisogni.

Per concludere, non si possono dimenticare in questa discussione gli aspetti politico economici che il panorama musicale moderno implica.
Il fatto che la musica pop aborigena sia parte oggi del mercato musicale australiano e mondiale è un altro importante argomento da considerare, perché questo mette le popolazioni indigene sotto la logica e le regole del nuovo “mercato globale” visto che scrivono, arrangiano, producono e diffondono (la radio 8KIN nata in seno alla CAAMA ha aperto le sue trasmissioni nel 1980) con competenza ed indipendenza sempre più crescenti.
Entrare nel mondo occidentale non solo con l’appropriazione delle sue strutture musicali, ma, più significativamente (in questa era del commercio) con un passo nel mercato della distribuzione e con l’uso competente delle nuove tecnologie, significa che si sta assistendo ad un cambiamento per le comunità aborigene con una necessaria re-negoziazione del potere interno.

La musica popolare non è da considerarsi semplicemente come un inevitabile prodotto di circostanze contemporanee, ma va vista attraverso un’ottica specificatamente indigena, come il risultato di un processo di riproduzione di aspetti culturali autoctoni, e come uno strumento coscientemente usato per mantenere viva la cultura aborigena.

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