1.2.2 STORIA COLONIALE INGLESE: L’EPOPEA DELLA FONDAZIONE DELL’AUSTRALIA

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1.2.2 STORIA COLONIALE INGLESE: L’EPOPEA DELLA FONDAZIONE DELL’AUSTRALIA

Nel 1770 il capitano James Cook sbarcò sulla costa orientale dell’inesplorato continente australiano, in un punto che battezzò Botany Bay. Per diciassette anni la corona inglese non prestò alcun interesse al nuovo possedimento conquistato. Fu nel 1787 che il governo britannico mandò una flotta a colonizzare l’Australia. Il 26 gennaio 1788 undici vascelli capitanati da Arthur Philip entrarono a Port Jackson. A bordo vi erano 1030 carcerati, di cui 548 uomini e 188 donne8. A partire da questo momento un continente inesplorato divenne una prigione9.

Le ragioni della nascita dell’Australia come colonia penale sono riconducibili ai molteplici problemi che caratterizzavano la società inglese del XVIII secolo. Londra aveva la fama di essere la più grande città del mondo, ma anche la più fetida. Gli scarichi erano fogne a cielo aperto e vaste fosse accoglievano i cadaveri di coloro che non potevano permettersi migliore sepoltura. La città pullulava di una grande varietà di mestieri e occupazioni, ma non esistevano garanzie salariali e lo sfruttamento era la prassi. Infuriavano le malattie professionali e i bambini cominciavano a lavorare a sei anni. Fioriva il commercio degli orfani10. A seguito di simili condizioni di vita, la conseguenza era un aumento della delinquenza.

Nell’Inghilterra del Settecento le prigioni, concepite come luoghi dove rinchiudere i malfattori e dimenticarli per qualche tempo, scarseggiavano. Una polizia centralizzata ed efficiente non fu presente fino al 1829, periodo nel quale fu emanato il Police Act. La deportazione cominciò ad apparire come la soluzione migliore: essa garantiva la rimozione del male in un altro mondo. I suoi vantaggi erano essenzialmente i seguenti: provvedeva all’eliminazione del delinquente, eliminava in contemporanea prigionieri e prigioni e offriva all’Inghilterra una vasta manodopera formata da persone che potevano essere mandate nelle lontane colonie di un impero in espansione.

E’ possibile distinguere, grosso modo, quattro fasi principali della deportazione. La prima è denominata la fase della deportazione primitiva. Essa iniziò con l’invio della prima flotta nel 1787 e terminò nel 1810. Lo scopo della deportazione era di sgomberare le prigioni e le navi carcerarie e di garantire la presenza inglese nel Pacifico. La seconda fase caratterizza la fascia temporale tra il 1811 e il 1830. Il governo inglese, nonostante avesse eliminato buona parte delle prigioni e dei prigionieri, non voleva più rinunciare al nuovo sistema ormai collaudato. Con la terza fase, dal 1831 al 1840, il sistema raggiunse la punta massima e poi iniziò a declinare.

Nel 1840 la deportazione nel New South Wales fu abolita. Infine, la quarta fase, prevedeva una diminuzione dell’utilità dei deportati non solo come pionieri ma anche come manodopera. La deportazione fallì senza eliminare la classe criminale all’interno della società inglese. Essa non poté farlo in quanto non eliminò le cause della criminalità interne al sistema stesso11.

Era possibile individuare tre gruppi minoritari durante la fondazione della colonia penale. Il primo era costituito dalle donne. Infatti di tutti i deportati, uno su sette erano donne, in genere condannate per furto di oggetti di piccolo valore. La presenza delle donne ebbe una funzione di controllo sociale: le deportate erano utili ai fini della procreazione e della soddisfazione sessuale. A eccezione delle donne che disponevano di denaro o di altra forma di ricchezza e di coloro cha raggiungevano il marito, tutte le altre venivano condotte alla Female Factory di Parramatta. La fabbrica femminile comprendeva una prigione e un luogo adibito alla filatura della lana. Se i deportati maschi avevano alcuni diritti, le donne invece erano prigioniere dei prigionieri. Si trattava di una classe due volte colonizzata. Gli omosessuali, denominati Mollies, costituivano la seconda minoranza. Infine, la terza minoranza dell’Australia penale era in realtà tutt’altro che una minoranza. Fino al 1845 gli aborigeni presenti sul territorio erano più numerosi dei bianchi. Ma il destino degli aborigeni australiani era intimamente legato al sistema inglese di colonizzazione. Gli aborigeni vivevano in piccole comunità e percorrevano il territorio senza segnare confini e senza stabilire insediamenti fissi. L’apparente assenza del concetto di proprietà li rendeva, agli occhi degli inglesi, poco più che animali intelligenti. Inoltre, l’abbondante manodopera coatta bianca rendeva superfluo sprecare energie per addestrare dei nomadi anche per i lavori più vili. Gli aborigeni non si sottomisero e opposero resistenza di fronte all’avanzata inglese, soprattutto quando questi si appropriarono della terra. In alcune aree la resistenza si protrasse anche per dieci anni. La tecnologia di guerra europea era di gran lunga superiore rispetto a quella degli aborigeni e l’introduzione del bestiame da allevamento importato dagli europei portò all’alterazione del paesaggio e alla distruzione delle antiche piste segnate dalle comunità autoctone12.

 

7 Cfr. Downing Riboldi, Sheila, “Hidden Contours: Aboriginal Australian Perceptions of Land and Landscape”, in

Baraldi, Matteo e Turci, Monica, Australian Landscapes, BolognaPendragon, 2003.

8 Hughes, Robert, La riva fatale: l’epopea della fondazione dell’Australia, Milano, Adelphi,1990, pp. 25-26.

9 Orlandi, Claretta, Iniziazione al mondo degli aborigeni, Roma, Edizioni Mediterranee, 2003, pp. 9-11.

10 Hughes, Robert, op. cit., pp. 48-49.

11 Ibidem, pp. 210-211.

12 Cfr. Hughes, Robert, op.cit.; Orlandi, Claretta, op. cit.

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